Se avete letto Il senso di una fine di Julian Barnes capite a che cosa mi riferisco. E se non lo avete letto, leggetelo: è un'ottima lettura per le prossime vacanze di Natale. Intanto, se posso, cerco di spiegare il senso di questo senso e di questo inizio.

Ve lo dico subito: sarà uno dei post più lunghi della storia di questo blog, ma ve lo devo. E voi, 25 e-lettori, un po' lo dovete al vostro affezionatissimo.

Come in quel romanzo, ciascuno di noi si sta raccontando come sono andate le cose: rilegge a ritroso tutto quanto, si è fatto delle idee e dei giudizi che magari si trova a dover modificare o ribaltare, scopre dalle opinioni degli altri elementi più precisi di quanto pensasse.

Ci sono gli entusiasti a prescindere, i riflessivi, gli affettivi. Ci sono i delusi, certo, che si aggiungono ai delusi d'ogni tempo. Ma tutti, proprio tutti, sono appassionati più di prima. La qual cosa, credetemi, ha sorpreso anche me.

C'è chi parla di bicchiere mezzo pieno, e io direi che è un bicchiere mezzo pienissimo, perché forse non ci rendiamo conto del punto da dove siamo partiti, di quali erano le forze in campo, di quanta copertura abbiamo avuto (poca) e del risultato che abbiamo ottenuto. E che la delusione per i termini relativi di questa sfida non ci debba far dimenticare i valori assoluti del risultato finale. Domani tornerò alla Camera, penserò ai sette deputati che hanno condiviso la sfida con me e guarderò gli altri trecento. Lo farò con rispetto, un rispetto che spero ricambiato, dopo mesi da particella di sodio nell'acqua Lete (il nome fa riferimento all'oblio in cui sono precipitate le nostre promesse, i nostri «mai», la carta d'intenti, il gruppo di Sel a cui sono seduto vicino, e non solo per motivi alfabetici).

Ci sono soprattutto i «voterei ma non posso» che si sono trasformati in «se avessi votato, avrei votato lei», come il signore che ho appena incontrato in libreria. Sono tantissimi, quasi quanti quelli che ci sono andati a votare. All'inizio, quando mi dicevano così, avevo un riflesso un po' nervoso. Ora penso che ci dobbiamo dedicare proprio ai «voterei ma non posso», a quell'area politica molto ampia che ancora si chiede che cosa fare e, soprattutto, chi li può rappresentare. Ma ci torno tra un attimo.

A tutti rispondo: personalmente, sono già ripartito, ho dormito qualche ora (un sonno nero, profondo, e più sereno di quanto pensassi), ho rivisto mia figlia che fa cose che prima non faceva (siamo alle filastrocche, in questo momento, a ripetizione), e soprattutto ho baciato Giulia che ha sopportato tutto questo e che, soprattutto, ha sempre lo sguardo così limpido sulle cose, molto più di quanto non lo abbia io.

Non preoccupatevi. Qui non molla nessuno, nessuno si adegua, nessuno cambierà. I gattopardi rovesciati (quelli che non cambiano, per cambiare le cose) sono tutti schierati e sono cento volte più di prima. Il fatto di avere vinto, allo stesso tempo, una sfida con noi stessi e però di avere perso (nettamente) le primarie, fa male e fa bene insieme. Invita solo a migliorare.

Ora chiedo a voi di mandarmi un messaggio a civati chiocciola gmail punto com, come avete fatto all'inizio di questa storia. Di continuare a sostenere questo progetto, soprattutto perché non è mio, è vostro. Nella ricognizione rinnovata oggi vi chiedo di limitare al massimo l'analisi del voto e di dedicarvi piuttosto a quel vuoto che possiamo riempire. Perché a chi ha votato alle primarie – lo ripeto e lo ripeterò – corrisponde un'area altrettanto grande di chi ci guarda da fuori. Uno spazio politico immenso che abbiamo soltanto iniziato a riempire.

Non faremo l'errore di chi prende i voti e poi si posiziona e smobilita. Noi abbiamo mobilitato le persone per il futuro, non ci interessano gli equilibri, i posti, il potere, faremo valere le nostre ragioni in totale autonomia. A chi si chiede perché Filippo Taddei, uno dei migliori tra i nostri, sia entrato in segreteria, rispondo che le illazioni di Cuperlo – secondo il quale ci sarebbe un accordo o una nomina da parte mia a cui lui e i suoi si sarebbero sottratti – sono totalmente infondate. Che io non ho nominato nessuno, anzi. Era Renzi ad avere bisogno di uno bravo in economia, e noi ce l'avevamo. Una scelta del nuovo segretario a cui sarebbe stato folle opporsi, per chi crede nella qualità delle persone e nelle cose da fare. Che sono complesse e ci vogliono quelli bravi.

Per tutto il resto, vi chiedo di dirmi che cosa vi aspettate ora, da me, da noi, da voi stessi. Su che cosa concentrare le nostre energie, a che cosa dedicare i prossimi mesi.

Dentro al Pd faremo quello che abbiamo sempre fatto, sulla base del mandato ricevuto dagli elettori, quello complessivo e quello che ha riguardato la nostra proposta. Non faremo una corrente, faremo una campagna permanente sui temi che ci stanno a cuore. Sarà solo più forte di prima la voce che udirete, anche se i media continueranno a trattarci come una cosa 'strana', incomprensibile, che si sottrae agli schemi consolidati e che per alcuni nemmeno esiste. Ci siamo abituati, e non ci siamo mai spaventati.

Ero in tv ieri con un giornalista che ha sempre detto di me cose terribili, e che ora dice le stesse cose che dico da sempre delle larghe intese ristrette, della riforma costituzionale, del tempo perduto, delle risposte sbagliate (vedi alla voce Imu e non solo). Che cosa volete che sia, per me è normale. Ho sempre pensato che fossimo la componente buddista del Pd (che in effetti mancava, perché le correnti, per chi non lo avesse capito, ci saranno ancora, anche dentro alla nuova maggioranza) e continueremo così.

«Tra una strada giusta e una facile, scegli sempre quella giusta, ti sarò tutto più facile», dice Mago Silente, come mi ricorda via sms Francesca da Cortona. E sarà il nostro motto, anche per il futuro.

La corrente che vorremmo creare non è tra i politici, ma nella società. In collaborazione con le persone migliori che abbiamo conosciuto, in un confronto continuo con Fabrizio Barca e Stefano Rodotà e i giovanissimi interpreti della nostra sfida.

Abbiamo sempre detto che ci immaginavamo «azionisti», in tutte le accezioni del termine: azionisti del Pd e della sinistra. Vorremmo essere capaci di precisare ancora di più i nostri contenuti (riconosciuti ormai da quasi tutti) e trasformarli in un'iniziativa politica che muova il Pd e che si rivolga a tutti quelli che vogliono cambiare, in un misto tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, ossessionati dalla questione della rappresentanza (oltre a Barnes, consiglio anche l'ultima Urbinati, pubblicata da Feltrinelli).

Non faremo una fondazione, anzi, come abbiamo detto in campagna elettorale, chiederemo a tutti di superarle o, quantomeno (non abbiamo vinto), di dichiarare a che cosa servono, chi le finanzia, che cosa producono. No, le fondazioni non ci piacciono. Le fondamenta e i fondamentali, sì.

Per me, questo è il senso di un inizio. Veder riconosciuto un lavoro iniziato tempo fa, in una sala che si chiama Bellezza a Milano, nei campeggi di Albinea, nei millemila post di questo blog. Con gli spingitori di primarie che non sono stati spinti da nessuno, con persone che lo hanno fatto rifiutando posti più comodi, scelte più 'opportune'. Una follia, come avevo scritto tempo fa.

Ma – vorrei che fosse chiaro – non aspettatevi che sia io a dirvi tutto quanto: si riparte dalle cose che mi scriverete. E sulle quali ci confronteremo. Ho un'idea particolare della leadership, diversa da quella che si è imposta, ma a cui non rinuncerò mai.

Ho già dato mandato al mio staff (con cui ci siamo divertiti come bambini, con Vincenzo, Stefano, Barbara e Giorgia, Alessio e soprattutto Paolo) di rimanere in attività: per quella collaborazione critica e orgogliosa dentro il Pd e per quel lavoro fuori, nel mondo grande e terribile che dobbiamo affrontare. E non basteranno le parole veloci di una campagna elettorale, ci vorrà un lavoro profondo, sotto la pelle del Paese.

Chiederò ancora passaggi a tutti voi, a cominciare dal mitico Sandro. Proprio ora mi scrive: «Dopo una sosta all'autogrill per un caffè e un rifornimento di carburante, oggi riprende il viaggio». Che cosa volete fare? Ho a che fare con dei matti totali.

Ci troveremo ancora in stazione, come quel viaggiatore, in una notte d'inverno. Riempiremo le sale e faremo le cose che sappiamo fare meglio: costruire relazioni tra di noi. Perché non è che siamo bravi con i social network, come hanno scritto in molti, per banalizzare quanto stavamo facendo: noi siamo un social network.

Ci troveremo ancora a fare iniziative nella provincia profonda, in quei piccoli comuni che Luca Sofri dice scherzando che me li invento, nei posti sbagliati in cui non vanno gli altri, come abbiamo fatto con la Val di Susa e con Taranto.

Da quanto ho capito in queste prime ore, chi ha votato Renzi per andare a votare non sarà soddisfattissimo, perché mi sembra che Letta chiederà una fiducia fino al 2015 (qualcuno dice anche un po' di più). Mi dispiace, ma avevamo cercato di dirvelo. Ove così non fosse, saremmo felici di avere avuto ragione e di tornare a votare presto, chiudendo volentieri una delle legislature più incredibili (any sense) della storia repubblicana. Altrimenti rimarremo dalla parte del torto. E cercheremo di trasformare le contraddizioni attuali in qualcosa di positivo, per il futuro di tutti.

Ho chiesto a Paolo di raccontare in un libro questa campagna, bellissima, personalmente ne scriverò uno sul futuro e uscirà presto una riflessione sull'eresia e sull'autonomia che sto condividendo (onoratissimo dell'opportunità) con Giulio Giorello (così ritorno a frequentare la mia vita precedente, che mi fa bene).

Se pensate che abbiamo finito qui, insomma, vi sbagliate. Purtroppo per gli sconfittisti, c'è un precedente. Chi ha perso nel 2012, vince in modo plebiscitario nel 2013. Non è automatico, ma nemmeno impossibile.

Impossibile era la nostra missione, che a poco a poco è diventata possibile. Tra Scilla e Cariddi, tra il Palazzo e la Piazza, il nostro vascello cercherà di trovare una rotta, molto stretta, ma è proprio quella che sentiamo di dover seguire.

Oggi un mio caro amico, che si chiama Antonio Decaro, che ha sempre sostenuto che non mi dovessi candidare, mi ha chiamato per dirmi che ora ha capito, e che ho fatto bene. Che sono un trimone (parola chiave di chi per me è barese acquisito), ma era giusto così. E aveva senso. E che è un inizio, perché il titolo del post lo ha fatto lui, anche se ancora non lo ha letto. 

Lo so, state pensando che sono un sognatore, che non è così che vanno le cose, nella politica italiana. Tutto vero, ma come diceva la canzone, non sono certo il solo.

P.S.: non siate inutilmente cattivi, nei messaggi, che poi ci rimango male, ma molto critici sì. Mi interessa di più capire ciò che ancora non siamo, rispetto a ciò che abbiamo già fatto. Sappiate soltanto che in questa campagna sono maturati progetti straordinari, che vi rivelerò nei prossimi giorni. Abbiamo parlato molto, insomma, ma abbiamo ancora molto da dire. O, almeno, continuo a pensarla così.

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