Ieri sera, mentre ascoltavamo i Civoti, mentre ci divertivamo a fare la nostra puntata di Che tempo che fa, e ascoltavamo le canzoni dei Marta sui tubi (sui tubi ci sta anche il Pd, per altro) tre persone (tra le mille giunte da ogni confine) mi hanno citato un film che sicuramente conoscerete.

No

Lo hanno fatto per motivi diversi, chi per commentare il Vaffaday, chi per ‘analizzare’ il falso alla Michele Serra che abbiamo realizzato sulla trasmissione di Fabio Fazio (a cui Michele Serra collabora, un falso al quadrato), chi per dire che il mio discorso alla fine glielo ha ricordato.

Perché il punto è proprio questo: per uscire dai guai, puoi soffermarti sui guai. Puoi individuare i morti e dare estreme unzioni. Puoi polemizzare contro il gruppo dirigente (per poi magari finire che ne candidi un bel pezzo, ma cosa volete che sia). Puoi mandare tutti a quel paese, dire che sono tutti uguali.

Oppure puoi dimostrare che sei tutto diverso, da quelli che ci sono e da quelli che montano toni esagerati, puoi parlare del futuro in termini positivi, puoi far vincere il no perché dici un sacco di sì. In Non mi adeguo, alla fine, parlo delle donne e degli uomini del sì, dei tanti sì da affermare con forza, proprio perché non li pronuncia più nessuno. Insomma, non bisogna dire sì a qualcuno, ma a qualcosa.

E non bisogna mandare a quel paese le persone, ma farle entrare in un Paese dove non sono mai state, l’Italia. Un’Italia che non avete mai visto. Da visitare, da scoprire, da promuovere. Da vivere insieme.

A questo No che è un Sì dedichiamo l’ultima settimana. E i mesi a venire. Per uscire dal ventennio ci vogliono gli sguardi e le energie dei ventenni, il loro slancio vitale, non il de profundis.

Non i funerali, ma i matrimoni (anche quelli egualitari). Non le esequie, non la tregenda da film horror, ma l’atmosfera che si respira alle feste di laurea, quando sei tra la soddisfazione, l’incertezza e la speranza di una vita che hai tutta davanti.

Né d’altra parte il conformismo di chi non si alza sul banco nemmeno quando è il professore che glielo chiede, perché l’Attimo fuggente per una intera generazione sembra essere fuggito già.

Il futuro sono le cose fatte bene e con passione e razionalità, le misure che sostengono chi rischia e chi ci crede. I precari e gli imprenditori, mai così vicini, e la politica che è una sfida, per cambiare le cose. E che è reale solo se condivisa, proprio come la felicità. Per essere felici noi, dobbiamo fare felici gli altri, mi hanno scritto in un messaggio di qualche giorno fa. Non dimentichiamolo. No al cinismo, no alla rassegnazione, no alla pochezza. Sì a quello che si può fare, cambiando il film, gli attori, la produzione, il montaggio. Per i sogni e i bisogni, come dissi tanto tempo fa, quando il Pd nacque.

Così ce la faremo.

P.S.: c’è ovviamente anche il bel libro da cui il film è tratto. E ai commentatori che qui sotto si dolgono del parallelo, dico che non sto dicendo che l’Italia è come il Cile (su, porca paletta, cerchiamo di capirci), sto dicendo che bisogna cambiare registro, completamente. E che i No (proprio i no, quelli che aiutano a crescere, potremmo dire) in realtà sono Sì o Sì devono diventare: il no alla guerra significa che promuoviamo la cooperazione e la difesa dei diritti umani, civili e politici e il fatto che – guarda un po’ – siamo nel Mediterraneo; il no alle opere eccessive, significa liberare risorse per altre cose, che abbiamo trascurato (i pendolari, questi sconosciuti); il no al consumo di suolo è un sì al paesaggio e alla difesa del territorio; il no al pasticcio sull’Imu è un sì per ridurre le tasse sul lavoro. Eccetera. Fidatevi.

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