Lucrezia Ricchiuti in Senato, l'altro ieri, a proposito della questione della "sagoma":

30.6 è il numero del mio emendamento votato a maggioranza nelle commissioni riunite I e V con il parere favorevole del governo. Il numero 30 si riferisce all'articolo del Dl Fare.

Il mio emendamento boccia il testo votato dalla Camera e ripristina l'articolo del Testo unico dell'edilizia. Sembra complicato ma non è così. La norma del decreto mette sullo stesso piano la ristrutturazione con la demolizione e ricostruzione.

Chi demolisce può ricostruire un edificio nuovo come se fosse una semplice ristrutturazione ma cambiando anche la sagoma. Con l'emendamento ho cancellato questa bella novità: mi hanno appoggiata associazioni, movimenti, assessori che si battono per il rispetto delle regole: ho ricevuto non so neanche più quante email e messaggi di sostegno. Una sola email contraria.

Oggi quando è arrivato il momento di votarlo in aula il Presidente ha chiesto, senza spiegarne le motivazioni, l'accantonamento di tutti gli emendamenti all'art. 30. Qualcuno evidentemente ci ha ripensato e ha messo il veto. Domani si ricomincia.

Lucrezia Ricchiuti, ieri:

Il mio emendamento è stato ritirato. Si è presentato in aula addirittura il ministro Lupi per esercitare la giusta pressione e quando ha avuto le necessarie rassicurazioni è sparito.

Il decreto del fare modifica sostanzialmente il Testo unico dell'edilizia. Perché io ero contraria e volevo che non si modificasse nulla? Perché ritengo inappropriato includere nella nozione di ristrutturazione edilizia anche interventi che comportano demolizione di interi fabbricati e l'edificazione, in loro vece, di altri edifici con sagoma completamente diversa.

La Corte Costituzionale, del resto, con sentenza 309 del 23 novembre 2011, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale della normativa della Regione Lombardia, analoga a quella oggi proposta, si è soffermata sulla valenza per la morfologia del paesaggio della definizione degli interventi edilizi.

Si pensi che, con la nuova formulazione, diverrà possibile, sotto le spoglie della ristrutturazione, alterare profondamente la fisionomia di centri storici di tanti comuni italiani, che presentano notevole rilevanza sotto il profilo dell'identità culturale del nostro Paese.

Non si condivide neppure l'assimilazione agli interventi di ristrutturazione della ricostruzione di edifici crollati o demoliti: la norma, così formulata (senza alcun riferimento temporale e spaziale) si presta ad incertezze applicative, ad abusi e forzature.

Il problema non è la sostituzione degli edifici ma il fatto che deve essere fatta considerandoli nuovi edifici, e quindi con il rispetto degli indici urbanistici definiti dal piano regolatore, non come ristrutturazione di vecchi edifici con il mantenimento della volumetria esistente con sagoma diversa.

Classificarli come ristrutturazione edilizia consente di pagare meno oneri ma anche di non sottoporre il progetto ad una pianificazione urbanistica da parte del comune, che potrebbe definire una nuova distribuzione degli edifici con un piano attuativo.

Con la ristrutturazione invece i progettisti possono fare quello che vogliono.

L'alternativa è tra un rinnovo della città deciso dagli architetti e dagli immobiliaristi con una totale deregulation urbanistica, oppure un rinnovo pianificato dagli urbanisti ascoltando la città tramite la procedura delle osservazioni e controdeduzioni e passando dal Consiglio comunale.

Con la decisione della modifica di alcuni articoli del Testo unico dell'edilizia, abbiamo la dimostrazione lampante che la lobby dei costruttori è riuscita nel suo intento con l'avallo di un accordo tra due ministri della maggioranza di due colorazioni diverse.

Ecco cosa sono le larghe intese.

Ecco, noi la sagoma non la cambiamo. Né quella urbanistica, né quella politica. E ci dispiace molto che il Pd attuale avalli certe soluzioni. Perché se andiamo avanti così, sarà difficile tornare indietro.

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