Nicola Mattina ci aiuta a riflettere sulla democrazia rappresentativa e la svolta che i tempi le impongono:

I temi sono molti. A me ne vengono in mente tre che mi sembrano prioritari. Innanzitutto, occorre ripensare le tecniche di ascolto, perché – se è vero che fare un sondaggio di opinione di tanto in tanto non è più sufficiente – allo stesso tempo non si può pensare che sia un manipolo di manifestanti in piazza oppure qualche decina di migliaia di iscritti a un sito web siano rappresentativi di un intero popolo. I cittadini lasciano molte tracce digitali delle proprie opinioni in Rete, è ancora difficile raccoglierle e interpretarle, ma occorre cominciare a farlo in modo sistematico imparando dalle aziende, che si sono già attrezzate in questa direzione.

In secondo luogo, è necessario lavorare alla trasparenza e all’accountability delle attività di governo. Non si tratta di rendicontare gli scontrini dei caffè dei parlamentari, come pensano ingenuamente alcuni, ma di rendere conoscibili gli obiettivi, i soldi allocati, i processi e i risultati. In questo senso, le amministrazioni dovrebbero essere obbligate a pubblicare in formato open tutti i propri dati, come hanno cominciato a fare timidamente alcuni enti virtuosi. Magari andando oltre i dati “innocui” (qualche statistica, dati geografici, serie storiche) e mettendo online i dati dai quali è possibile capire l’efficacia e l’efficienza dell’azione di governo.

In terzo luogo, occorre ripensare i partiti passando da strutture verticistiche e burocratiche a organizzazioni reticolari che facciano largo affidamento al crowdsourcing come strumento che crea occasioni di partecipazione accessibili a tutti. Le feste animate dai volontari che grigliano le salsicce sono importanti, ma la voglia di partecipare può essere meglio indirizzata e valorizzata.

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