Colpisce un po’ leggere l’intervista del giovane capogruppo del Pd oggi sulla Stampa. Si tratta di un continuo richiamo all’ordine e un messaggio preciso: chi non vota la fiducia al governo con il Pdl è fuori dal Pd.

Come ricordavo ieri, in una conversazione a distanza con Franceschini, prima di chiudere il dibattito, sarebbe il caso di aprirlo. E come dico e scrivo da giorni, aver spostato l’attenzione sulla disciplina di partito, ha fatto dimenticare ai media un piccolo particolare che non è invece sfuggito agli elettori e agli iscritti del Pd: che il Pd ha sempre detto no al governissimo, ha parlato per due mesi di governo del cambiamento e ha ragionato sulle larghe intese solo sul Presidente della Repubblica (larghe intese diverse, per altro, tra Marini e Prodi e giustificate solo dalla necessità di dare al Paese un Presidente della maggior parte, e non solo di una).

Come se niente fosse, i leader del Pd ora richiamano all’ordine, come se quella di oggi fosse sempre stata la loro e nostra posizione: e inizio a pensare che, sotto sotto, lo sia sempre stata.

Quando si parla di credibilità, si parla soprattutto di casi come questi.

E quando si parla di pluralismo, si deve essere almeno sinceri e riconoscere che la posizione ora considerata eversiva era quella della segreteria uscente (per tutti, tranne forse che per il vicesegretario, che non si è dimesso, per altro).

E quando si cambia posizione, sempre che si sia cambiata, bisogna almeno mostrarsi un po’ critici e sofferti: a meno che, appunto, l’alleanza con il Pdl, perché di questo si tratta, non sia ritenuta auspicabile.

Per me non lo è. Sono fuori dal Pd?

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