Dopo averne detto tutto il peggio, in molti tentano di sistemare le cose, di dare un po’ di credibilità all’operazione più sconclusionata e drammatica della sinistra (?) italiana fin dai tempi di Turati.

Nessuno sembra voler ammettere l’ovvio: che le forze politiche sono state commissariate per la seconda volta consecutiva e che ora Napolitano farà quello che crede. Senza dover rendere conto proprio a nessuno. Anzi, minacciando, come ha fatto con altissimo profilo istituzionale, il Parlamento: chi non fa le riforme, sappia che io mi dimetterei. Che a me pare una lettura al limite della costituzionalità, ma non è colpa di Napolitano se siamo in queste condizioni: no, è colpa nostra.

Chi aveva qualcosa da dire, avrebbe dovuto dire e fare qualcosa di diverso prima di sabato. Ora spazio per la politica dei partiti e dei movimenti (che ieri Napolitano nel suo intervento ha letteralmente devastato) non ce n’è più. E sapete per colpa di chi? Dei partiti e dei movimenti, che con lo spirito dello scale tipico di queste settimane ora si dicono: avremmo potuto. Ma non abbiamo voluto.

E così il dibattito interno si avvita ulteriormente e si cerca di espellere quelli che si sono espressi in modo contrario: gli elettori, si sono già auto-espulsi; i dirigenti, come quel sovversivo di Barca, cresciuto con Ciampi e ministro del governo Monti, allontanati prima che arrivino; ai parlamentari, invece, è riservato il trattamento della leggenda metropolitana: per esempio, Civati starebbe con Vendola e non avrebbe votato Prodi. Che, se non fosse falso e ripugnante, renderebbe soltanto più ridicola una vicenda che lo è profondamente.

Con le forze politiche che applaudono alla propria resa, la teorizzazione suprema delle larghe intese, la denigrazione degli elettori che passano tutto il giorno sulla rete. Mentre noi lavoriamo, invece, all’ennesimo capolavoro, accompagnati dai toni sprezzanti del Presidente e dal sorriso benevolo e indulgente di Silvio.

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