Ne avevo parlato qui, e ci sono tornato spesso in campagna elettorale, quando vedevo aleggiare la sindrome del «tanto peggio, tanto meglio» che sembra essere la cifra di questo Paese più di ogni altra.

Vedo che anche Marco Travaglio, figura non certo riducibile alla mia, dice e scrive le stesse cose.

Ora il disegno si è quasi compiuto: e non è lo sfasciare tutto, è il consolidare tutto. Chissà quanti elettori del M5S se ne renderanno conto. Dubito che vogliano rendersene conto i ‘capi’. Anzi: loro se ne rendono conto benissimo, ma vogliono il 100% prima di iniziare a discutere. Già sentita anche questa.

Leggo che si irridono i saggi: facile. Il problema è che sarebbe stato più saggio fare un nome nelle scorse settimane e non inventarsi nuove caricature per le prossime.

Certo, direte voi, lo si è visto mille volte e non è una novità. E avete ragione.

La novità più dolorosa è un’altra: che il M5S ha vinto certamente per l’attacco alla politica, ma il suo boom (annunciatissimo per chi lo avesse soltanto voluto vedere) è determinato da una questione che la politica ha colpevolmente sottovalutato: che è la questione sociale. Ovvero, le difficoltà che attraversano l’Italia. Lo stato di indigenza di molti cittadini e molte famiglie. La necessità di trovare (avere!) soluzioni subito, anche attraverso scorciatoie più o meno probabili. L’attesa per un segnale che la classe dirigente – non solo la politica, no, tutti quanti – non dà da mille anni.

Prendere i voti per motivi così seri e così emergenziali e poi trincerarsi dietro un progetto «trentennale», con l’idea di dissolvere le istituzioni, è una scelta pericolosa. Molto. Non solo per gli obiettivi, ovviamente, ma anche perché si perde più di un’occasione, nell’eterno «frattempo», nella perenne «transizione» della politica e della società italiane. Che non a caso non si capisce dove stiano andando.

Congelare i propri eletti, dopo averli scaldati come una supernova (sarà per questo che parlano di stelle), lo è ancora di più.

Ora a decidere saranno gli altri, scrivono parecchio goduti quelli della classe dirigente sopra richiamata (gli stessi che sorridevano per il piano C, ma che ne temevano l’applicazione). Quelli che sono lì da sempre, e che hanno avuto più voti e più responsabilità in questi anni. E si candidano a trovarne ancora, di voti. Come se nulla fosse accaduto.

Lo tsunami è passato. Prevederne un altro è possibile, certamente. Lasciare «il tempo che si trova» ancora di più. Spero che, al di là delle convenienze di parte, qualcuno voglia rompere lo schema.

Personalmente, sono da sempre pronto a farlo. Mi piacerebbe trovare qualcun altro, dall’altra parte, disponibile a lavorarci. Quantomeno a parlarne. Pensate che ingenuo: pensavo che il Parlamento si chiamasse così, perché in quel posto ci si incontrava per discutere, per conto degli elettori di ciascuno. Mi sbagliavo?

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