Oggi Mattia Feltri ironizza sul fatto che in Italia, come al solito, siano tutti saliti sul carro del vincitore.

Nel Pd si sprecano le dichiarazioni di chi diceva, fino a dieci giorni fa, che Grillo era come Berlusconi o, addirittura, peggio.

C’è anche chi si ribella, per la verità, come ieri ha fatto Beppe Fioroni che a un certo punto del suo intervento, dopo avere analizzato la profezia di Casaleggio (giuro), ha esclamato: «non è che ora dobbiamo diventare tutti grillini». Già.

Il punto, però, sta da un’altra parte: oggi, come allora (perché allora qualcuno che cercava di ragionare, c’era), c’è da capire. Non come farebbe Zelig, ma come farebbe un partito politico che voglia cambiare.

Perché l’indignazione non può lasciare indifferente una forza di sinistra e di cambiamento. La deve interrogare profondamente. E, appunto, cambiarla. Invitandola a rispondere con un progetto politico coerente e rigoroso, a distinguere gli argomenti validi da quelli che non lo sono, a depurare da slogan e iperboli quello che è un sentimento diffuso, perché possa diventare funzionale a un dibattito pubblico e a un’ipotesi di governo.

Non è facile? No che non lo è. Ma la politica ai tempi di Facebook e, soprattutto, della crisi economica e sociale che stiamo attraversando, è così che si deve fare.

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