La Lombardia è già una regione della bicicletta. Lo è storicamente, lo è economicamente, lo è molto meno sotto il profilo politico e amministrativo.

Le eccezioni ci sono e non sono rare. Ma manca un’idea complessiva, per la quale abbiamo lavorato nella precedente legislatura, che possa davvero dare l’idea di un sistema.

Sappiamo che il settore cresce, anche nella nostra regione. Sappiamo che, nel pieno della crisi, è in corso un vero e proprio boom del cicloturismo. Sappiamo che le università (che andrebbero coinvolte sempre nella progettazione e nella creazione di una regione plurale e aperta) hanno prodotto progetti di grande valore (come Vento, che ormai avete imparato a conoscere).

Un nuovo ciclo politico è possibile, soprattutto se questo sforzo si inserirà in un grande progetto di intermodalità tra mezzo privato, mezzo pubblico e bicicletta (che è un po’ un bene comune, se vogliamo, perché – soprattutto se a noleggio – è a disposizione di tutti senza essere di proprietà di nessuno): la migliore delle soluzioni possibili «per lasciare giù la macchina» e «fare in fretta», due concetti aurei della vita dei lombardi. Sembra un paradosso, ma come ognun sa non è tanto la velocità che si riesce a sviluppare, ma il tempo che si risparmia nella «rottura di carico» (e non solo) a fare la differenza.

Chi banalizza questo argomento, non conosce il valore di una partita che potrebbe cambiare il volto dei capoluoghi di provincia della nostra regione, migliorare i collegamenti tra i centri abitati e aumentare complessivamente la qualità della vita dei nostri concittadini.

Una cosa che in Europa sanno (e fanno) benissimo. E l’Europa è a due colpi di pedale da qui (anche se, personalmente, il passo dello Spluga in bici l’ho fatto, e la retorica, in questo caso, non tiene).

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