Se consideriamo l’eventualità di costruire il lavoro, l’imprenditoria giovanile si è ridotta tra il 2000 e il 2007 e la sua quota sulle imprese nuove nate è passata dal 53,6% al 41,2%, per le imprese individuali. Si tratta del campo in cui esercitare la massima collaborazione tra le generazioni, e lo scambio esperienza-energia che può contribuire alla crescita di tutto il sistema economico. Per prima cosa, è una “questione di fondi”: la creazione di un fondo rotativo finalizzato all’avvio di nuove attività e di un fondo di garanzia per l’attivazione di credito bancario, entrambi dedicati all’avvio di imprese da parte di giovani. Questo è il campo sul quale coinvolgere il sistema bancario e sul quale dirottare il maggior numero di risorse.
E poi il monitoraggio di attività di business angels sul territorio nazionale e l’istituzione di relativi benefici fiscali per i soggetti che intendano svolgere questa funzione a vantaggio dei giovani. Con questo, si può pensare anche all’istituzione di benefici fiscali per società di seed capital orientate a idee imprenditoriali promosse da giovani.
Infine, si procederà alla definizione di un accordo di programma con imprese “di successo” nei diversi settori produttivi perché, a fronte di eventuali benefici fiscali, si prestino ad individuare segmenti e nicchie di mercato non sature e a svolgere attività di sostegno e di accompagnamento (tutor è la parola) di nuove imprese avviate da giovani, a partire dalla costruzione del business plan sulla base di un’idea imprenditoriale, fino al consolidamento dell’impresa (per un periodo di tempo di almeno tre anni).

Qui sopra quanto scrivevo tra la fine del 2010 e l’inizio del 2011 nel libro Il manifesto del partito dei giovani (che trovate qui), dopo lunghe discussioni con Rita Castellani, a sostegno delle startup e delle nuove imprese.

Ora il Governo dichiara che in un decreto-legge a settembre è prevista l’istituzione di un fondo unico di garanzia per il venture capital a favore delle startup. Non mi pare che i partiti politici se ne siano mai occupati, in questi termini. Anche la possibilità per i giovani di fondare srl con un euro di capitale, come sospettavamo, non ha funzionato, perché per le nuove imprese (giovani, in tutti i sensi) si devono prevedere percorsi molto diversi (chi fa credito, per altro, a chi ha un euro di capitale?).

Nello stesso decreto-legge si tratterà di azzeramento digital divide con investimenti nelle città per «centrare gli obiettivi europei» (2 megabit/s entro il 2013; almeno 30 megabit entro il 2020); di incentivi a e-commerce e a sviluppo moneta elettronica, di digitalizzazione della Pubblica Amministrazione con creazione di alcuni data center nel Mezzogiorno. Si dovranno trovare altri 400 mln., oltre i 2 mld. che sono già a disposizione dei ministeri.

Nello stesso piccolo libro, un capitolo si intitolava così: «Allargare la banda».

A proposito di infrastrutture, vale la pena di ricordare che non esiste solo il Ponte sullo Stretto e il potenziamento della rete autostradale. C’è anche la banda larga, anche se trova pochissimo spazio nel bilancio dello Stato. Scrivono Alessandro Gilioli e Arturo Di Corinto:
«Che cosa pensereste di un padre che non manda i figli a scuola? […] Questo padre è l’Italia di oggi: la sua politica, la sua classe dirigente, i suoi poteri economici e mediatici. Peccato che i figli, invece, siano i nostri: quelli che rischiano di vivere in un paese chiuso in se stesso, ostile a ogni osmosi culturale, privo di curiosità e con una scarsissima propensione al nuovo. […] Anche in questo caso i dati sono implacabili: «se otto italiani su dieci sono senza una vera banda larga, un ottavo della popolazione non può arrivare al minimo indispensabile (almeno due megabit al secondo) perché abita in aree malcollegate». Del resto, «l’Italia è al quarantottesimo posto nel mondo per tendenza all’innovazione» e perde terreno, perché l’anno scorso era al quarantacinquesimo.
Un po’ di filosofia della rete, anche in questo caso, ci ricorda che il problema strutturale è anche e nello stesso tempo un problema culturale. La rete, la sua dimensione orizzontale, la facilità dell’accesso, la libertà di informazione e il pluralismo che ne deriva, sono elementi che potrebbero far bene al sistema gerarchico italiano, dando qualche elemento in più ad una politica che stenta a comprendere il web.
Senza dimenticare che la banda larga e una digitalizzazione avanzata servono anche all’energia, alle smart grid, alla possibilità di realizzare città sostenibili. Lo stesso vale per il software libero, per la diffusione del wifi, per il definitivo superamento del Pisanu.

Con qualche anno (secolo?) di ritardo, insomma, cose buone, cose che cambiano.

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