Il mio intervento in direzione nazionale, mentre la pace (dei sensi) scendeva sul Pd e il lupo ad un certo punto si addormentava con l’agnello (che però un occhio aperto lo teneva, perché non si sa mai), secondo lo schema della profezia di Popolino.

La Lombardia, in questo momento, è più di un caso di studio, più di una notizia ricorrente sulle prime pagine dei giornali, è un campo d’azione politica tra i più limpidi.

Per molti anni siamo stati in soggezione, troppo forte ci sembrava quello strano animale con il volto di Berlusconi, la pancia di Bossi e la lunga coda (in ogni senso) di Formigoni. Allora non possiamo che registrare che il momento è propizio per darci da fare.

Prima di tutto, per indagare sulle strutture e la concezione stessa del potere, sulle modalità con cui è esercitato, sul tempo e la dote (per usare un personaggio dantesco, Cacciaguida, che oggi liquideremmo come antipolitico) che non devono superare la misura.

Se vogliamo cambiare la politica, se vogliamo restituirle credibilità, la Lombardia è il miglior punto di partenza. Se vogliamo trovare modi nuovi nei rapporti tra politica e società. E non solo quella civilissima, che si è mobilitata nelle elezioni amministrative del 2011. Parlo anche dei rapporti con la società economica, e con gli interessi che esprime.

Ecco, non solo una grande mobilitazione, in cui vorrei fosse coinvolto tutto il Pd a livello nazionale, ma anche un’indagine approfondita sulla politica, e sul potere, nella Regione più potente del Paese.

Insomma, il mio appello è che – vent’anni dopo Tangentopoli – da Milano si possa offrire anche una lettura politica e non solo giudiziaria di quanto è accaduto negli ultimi anni.

E credo che ciò sia decisivo se vogliamo davvero cambiare la politica anche nella prospettiva del governo nazionale: come si nominano le persone, quanto si sta in carica, quale trasparenza, quali costi, quali controlli, quali valutazioni dei risultati, certo. Ma anche quale urbanistica (l’urbanistica deve essere al centro dei nostri pensieri), quali politiche ambientali (ora che si è dimostrata, in un perfetto rovesciamento dello slogan leghista, l’«insicurezza del territorio»). E, infine, come la politica si sostiene, con quali strumenti e quali regole.

L’insieme di questi elementi rappresenta la questione democratica, che è aperta nel nostro Paese come non lo è forse mai stata.

Mi riferisco ovviamente all’organizzazione, al ruolo, allo stile della politica, ma anche al suo senso profondo: una politica forte dove lo deve essere, certamente, ma che sappia darsi un limite e insieme un orizzonte.

«Meno Stato, più mercato», anche nella variante «più società», è stato lo slogan di questi anni. E nascondeva con tutta evidenza un trucco. Perché più che di privatizzazione aperta al mercato, si è trattato di un’assunzione del privato (spesso) amico nel sistema del pubblico. Il suo rovescio, insomma.

E in questo caso, faccio notare, che anche la contrapposizione che tanto ci appassiona (si fa per dire) tra neo-socialdemocratici e liberal, come ho già avuto modo di dire, non ha molto senso, se posta nei termini classici, se non tiene conto della specificità del caso italiano (e in questo caso lombardo).

Propongo perciò al Pd una presenza e una ricerca, insieme. Se davvero vogliamo, come ha detto Bersani, puntare all’Europa e, aggiungo io, alla modernità, non possiamo non passare dalla Lombardia, dai suoi dieci milioni di abitanti, dalla sua società laica, dal suo mondo produttivo, dalla sua realtà multietnica e anche dalle sue difficoltà economiche, perché si trova esposta più di altri alla globalizzazione. La Regione con esigenze di innovazione, anche in campo ambientale, più forti.

Le Amministrative andranno meglio del solito perché dall’«altra parte» sono sbandati come non mai. E allora cogliamo l’occasione fin da ora perché si trovi un modello forte e credibile da estendere a livello nazionale.

E che ci si muova non solo partendo dai grandi centri, ma anche dalla provincia profonda, che inviterei a frequentare di più, perché la favola del localismo e della chiusura che le è stata raccontata in questi anni, ha fallito clamorosamente. E l’ha resa più povera, meno potente e meno presente sulla scena della politica (paradosso del leghismo ventennale e del Nord turboberlusconiano). E del mondo.

Partiamo da lì, dalla sfida di far uscire dall’oblio quei territori – da cui, per capirci, provengo – per dare un forte messaggio a tutto il Paese.

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