Non sono d’accordo con l’introduzione del pareggio di bilancio in Costituzione, per tanti motivi, alcune dei quali richiamati in questo articolo. A esprimere preoccupazione, in questo come in altri casi, non sono – sia ben chiaro – i socialdemocratici del Pd.

Anche quello che si sta prefigurando per gli aspetti istituzionali, è da considerare con grande attenzione e cautela:

Cominciamo dagli obiettivi non raggiunti: lo snellimento quantitativo dei parlamentari è davvero ridotto al minimo, se i componenti delle due Camere nel complesso sarebbero ben 762, malgrado la contemporanea esistenza di ben venti assemblee regionali. Ma poi soprattutto la tanto declamata regionalizzazione del Senato non si realizzerebbe, poiché i 254 senatori continuerebbero a rappresentare genericamente gli elettori residenti nei vari territori e perfino all’estero (ma ci si è dimenticati dei gravi scandali originati dal modo di espressione del voto da parte dei cittadini italiani residenti all’estero?), senza neppure l’introduzione di requisiti per i candidati che possano caratterizzarli come esperti dell’amministrazione regionale o locale.

Ma allora le due Camere sarebbero tra loro assolutamente identiche per sensibilità e conoscenza delle realtà territoriali. Né si dica che una diversa qualificazione potrebbe derivare dalla sola creazione presso il Senato di una Commissione mista fra senatori e rappresentanti regionali (che curiosamente sarebbero i presidenti dei Consigli regionali, soggetti che – al di là del loro valore personale – non sono certo i soggetti regionali più «forti»).

Con un Senato composto da politici assolutamente omogenei a quelli presenti alla Camera, si vorrebbe conseguire la sua «specializzazione regionale» (ciò che in tanti Stati regionali o federali si consegue con un Senato rappresentativo delle autonomie) tramite la sola attribuzione ad esso del compito di occuparsi delle materie regionali: il Senato dovrebbe, infatti, fare le leggi nelle materie nelle quali spetta allo Stato determinare per legge i principi fondamentali (le cosiddette «leggi cornice»), mentre tutto il resto tocca alla competenza delle leggi regionali. Ciò mentre alla Camera dei deputati spetterebbe, invece, occuparsi delle materie di esclusiva competenza dello Stato. Ma questo tipo di distinzione è solo teorica per almeno due motivi di fondo: spesso non esistono confini precisi fra le materie di competenza esclusiva dello Stato e quelle nelle quali lo Stato può adottare solo norme di cornice; inoltre i disegni di legge di norma disciplinano contemporaneamente più oggetti, tra loro intimamente connessi, che ricadono in parte in materie di competenza statale ed in parte di competenza regionale (solo per fare un esempio: a quale Camera sarebbe spettata la conversione dei numerosi decreti legge adottati dal governo attuale e da quello precedente?). Ma se le cose stanno così, come confermato anche da innumerevoli sentenze della Corte costituzionale, il Senato continuerebbe ad essere soltanto un debole doppione della Camera, dalle incerte competenze.

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