Fino all’incredibile notizia di oggi, stavo riflettendo sulla manifestazione della Fiom e la posizione del Pd. Leggevo con interesse le discussioni avviate da qualcuno, circa la necessità di interpretare una politica di governo e insieme rappresentare le ragioni del conflitto sociale o, quantomeno, mantenere una relazione politica con chi protesta e denuncia ingiustizie nei confronti dei lavoratori.

Mi pareva un dibattito interessante, benché viziato dal solito politicismo alla Ecce Bombo, come se andare alla manifestazione della Fiom trasformasse in metalmeccanici i dirigenti politici. E costringesse il Pd a chissà quale ruolo di minoranza.

Siamo nel Tremila, ci sono gli indignados in tutte le piazze e la politica non riesce a trovare una misura tra Piazza e Palazzo. E a creare occasioni di confronto e di interlocuzione che aprano nuovi spazi a un dibattito pubblico sempre più condizionato dalle frasi fatte e dai posizionamenti di una politica spompatissima.

Lo stesso accade, in effetti, con il movimento No Tav: si fa fatica addirittura a incontrare i sindaci dissenzienti, a discuterne con pacatezza e con un approccio politico. Si confrontano le tifoserie, e in campo, a giocare la partita, non c’è più nessuno o quasi. Si procede a botte di “non ci sono alternative”, citando inconsapevolmente la leader più di destra del dopoguerra europeo.

Ma arriviamo alla notizia di oggi: il Pd ha scelto di non andare alla manifestazione della Fiom e di non mandarci nessuno (nemmeno chi si era autoproclamato ambasciatore verso il mondo del lavoro) perché alla manifestazione della Fiom interverranno i No Tav.

Come se non si sapesse da un secolo che alle manifestazioni della Fiom i No Tav ci vanno. E viceversa.

Come se un problema si risolvesse con la sua negazione e con il richiamo a un problema dello stesso segno. Senza nemmeno rendersene conto.

Come se discutere con i No Tav trasformasse tutti in black bloc. Come un incantesimo.

Il Pd doveva esserci, alla manifestazione della Fiom, con una rappresentanza della segreteria nazionale che ci andasse non per distinguersi e posizionarsi, ma per affermare alcune cose che credo siano importanti.

Per me gli atteggiamenti della NewCo di Fiat non sono accettabili. E in generale mi pare di dover affermare che ci sono parecchi equivoci sulla produttività e sulla remunerazione dei dipendenti, oltre che una programmazione degli investimenti a dir poco bizzarra.

La rappresentanza sindacale, poi, si può cambiare (anzi, è necessario intervenire politicamente sulle relazioni industriali nel loro complesso e il Pd dovrebbe farlo con forza), ma non negare. Né si può escludere chi porta con sé le ragioni di un conflitto che è parte integrante della vita democratica di un Paese. E affermare il potenziamento del livello aziendale di contrattazione, non significa affatto negare i riferimenti del contratto nazionale. E il suo valore.

Per me, però, ed è la precisazione fondamentale, non c’è alcuna contraddizione tra le affermazioni precedenti e la linea di un partito che propone il contratto unico, vuole superare la cassa integrazione all’infinito e introdurre un assegno universale di disoccupazione. Senza spingersi, come vuole la Fiom, all’estensione dell’art. 18 a tutti o al reddito minimo di cittadinanza, che è uno scenario lontano dall’attualità del Paese.

Sono dell’avviso che alcune linee di demarcazione all’interno della sinistra italiana siano desuete (eufemismo). Che si può essere liberal senza essere moderati. E innovativi senza essere smemorati. E c’è un disagio grande, tra i lavoratori italiani, che andrebbe rispettato e considerato per quello che è, non piegato alle convenienze di parte. O, peggio, di corrente.

Certe miserie lasciamole al passato. Il futuro riparte dalla dignità delle persone e dei fatti. E se non c’è alcuna area politica che rappresenti quelle che ci paiono rappresentare due necessità, pace: vorrà dire che ce ne faremo una nuova.

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