L’anno scorso, di questi tempi, scrivevo il Manifesto del partito dei giovani. Che tutti pensavano che si parlasse dei giovani politici, delle loro carriere, del mandare a casa “quelli di prima”. E di un partito di giovanilismi e rottamazioni fini a se stesse. E invece si parlava dei giovani elettori, cervelli e cuori in fuga da una politica che non li rappresentava più.

In un anno sono cambiate molte cose, al centro di quel testo, e molte si sono affermate. Temi a me molto cari (la partecipazione politica, l’uso della rete, l’ambiente, la parola pubblica, nitida e trasparente) e anche la consapevolezza di alcune riforme che in quella sede cercavo di sollecitare. Ora se ne parla molto, e tutti si rivolgono al Partito dei giovani. Su scala nazionale ed europea, perché ci si è resi conto che l’Europa è unita, soprattutto, dalla moneta e dalla crisi occupazionale giovanile. E mediterranea, anche, perché i primi giovani a muoversi sono stati i ragazzi che vivono al di là del mare e che vorrebbero anche loro lavorare. E poi ci sono stati gli indignados, che ci sono ancora, e che meritano risposte che finora non sono venute.

Continuo a pensare che non può essere un «comitato centrale» a cambiare le cose, ma un protagonismo dei giovani. E delle giovani, soprattutto.

Chissà che questo, per mille motivi, non sia davvero l’anno dei giovani e del loro partito in cerca di futuro. Lo so, lo si dice ogni anno. Ma forse questa volta è anche vero.

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