Ieri sera, mentre si celebrava il delirio autodistruttivo da ipernarcisismo del premier (muoia B e tutti i filistei), tutta la rete gli chiedeva di andare #acasa, la fronda via via si sfrondava, il maxiemendamento si scopriva non essere né maxi, né emendamento, il Foglio festeggiava con i fuochi d'artificio sulla home, mi è venuta in mente questa scena:

Nel nostro caso, non ci vuole un genio per capire che ci vuole una visione d'insieme. E che alcuni passaggi sono necessari, e son quasi lapalissiani, se vogliamo mettere a posto le cose. E per arrivarci, so che è fuori moda, ci vuole soprattutto un po' di fraternité.

Per prima cosa, alla voce credibilità (anzi, decenza), sarebbe un gesto fondamentale che si riducessero, almeno nelle stesse proporzioni con cui è stato fatto nei confronti degli enti locali, il dato dei rimborsi elettorali, quello dei costi complessivi della politica e si abolissero, subito, tutti i vitalizi dei parlamentari e dei consiglieri regionali. Con effetto immediato.

In secondo luogo, ci vuole una patrimoniale che consenta di aggredire il debito e di alleggerire la posizione fiscale dei produttori (lavoratori e imprese, uniti nella lotta di sopravvivenza). La patrimoniale, se non viene sprecata ed è contestuale a interventi seri sul versante della spesa (che in parte vi sono stati), serve a ristabilire un principio di uguaglianza che non solo è giusto, ma è anche economico, per almeno tre motivi (di cui solo uno specificatamente italiano): perché l'uguaglianza tiene su i consumi, almeno un po'; perché l'uguaglianza fa risparmiare, e parecchio, sul welfare (a meno che non si voglia togliare al welfare l'aggettivo «universale»); perché l'uguaglianza colpisce non solo chi paga le tasse, ma tutti o quasi. In più, il principio sarebbe quello di ridisegnare la mappa fiscale di questo Paese, che ce n'è bisogno da tempo.

Il terzo punto, riguarda le pensioni. Si dice: anticipare il contributivo, con i necessari correttivi, o alzare la soglia per tutti, e lo si può fare, solo se serve anche a costituire un fondo per i giovani senza continuità contributiva (una intera generazione di precari).

Poi ci sono altre cose da fare, che anzi andavano fatte un secolo fa. Per punti:

– mercato del lavoro: flessibilità in ingresso e stabilizzazione (continuo a pensare che il contratto unico versione Boeri sia preferibile a quello di Ichino); 
– prime azioni sistematiche per la prevenzione dell'evasione fiscale (sulla linea del «fisco 2.0» che Ernesto Ruffini ha presentato un anno fa a Firenze e precisato quest'anno a Bologna);
– prime azioni per la liberalizzazione delle professioni e dei servizi, con molta cautela sulle privatizzazioni, più per il rischio che siano una clamorosa svendita che per pregiudizio ideologico, sia chiaro.

In tutto questo, e alla luce di una visione d'insieme, la serata di ieri è l'epilogo di una fase politica da incubo, in cui la riforma più significativa è stata quella del federalismo demaniale (per dire). E siccome la visione d'insieme richiede che si guardi anche al di là delle Alpi, consiglio una lettura di quanto stanno facendo in Germania i riformisti dell'Spd. Così, magari è velleitaria in alcuni passaggi, la proposta, però là il problema se lo pongono. Da noi, no. E si vede.

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