Luca scrive un post convincente come il suo ultimo libro, in cui dice, tra l'altro:

Che una insistita e vecchia campagna che anima da anni un sovreccitato manipolo di commentatori sia condotta contro una cosa che si chiama “correttezza”, già basterebbe a far nascere qualche dubbio sulla sua sensatezza. Quando si trattò di attaccare i buoni, i cattivi inventarono almeno la categoria del “buonismo”, perché prendersela ufficialmente con la bontà sembrava sinceramente impraticabile: ma nel caso della correttezza politica non si è escogitata neanche una denonimazione svilente, e si è costruito tutto un pensiero che va dicendo che sia sbagliata in quanto tale, legittimando più o meno esplicitamente la scorrettezza.

Ecco, la difesa della correttezza, della politica e del suo linguaggio, è una cosa che mi piace. Molto. Che sembra di essere pappemolli, in confronto con quelli che usano toni più spicci. E forzati.

Si fa meno notizia, si appare meno risoluti, e però forse si fanno le cose meglio.

A me piace l'ironia, quella di Sucate, per capirci, che in un colpo solo ha sbaragliato vent'anni di sarcasmi e di aggressioni verbali. E ha segnato una primavera, nella speranza che l'ironia – e il gioco tra il dire cose serie e non prendersi troppo sul serio – possa dominare anche in futuro.

Mi piace la sorpresa da persona normale con cui il sindaco di Milano ha incassato l'accusa televisiva in zona Cesarini di Letizia Moratti.

E mi piace adottare argomenti che possano essere compresi, al di là del loro significato polemico.

Mi piace ragionare di corruzione, quando è in discussione il Pd, e non solo quando può essere scambiata per un oggetto contundente da usare contro gli avversari.

Mi piace pensare che difendere i diritti dei lavoratori non possa essere tradotto nell'«essere schiacciati sulla Cgil», e lo dico proprio oggi, alla vigilia dello sciopero generale, perché ne abbiamo sentite di bizzarre, in proposito. E lo sciopero, a me, appare legittimo e importante anche per quelli che non scioperano o non ne condividono le ragioni.

Mi piace pensare che ascoltare i soggetti politici che manifestano in ogni località del Paese e discutere con loro non significa che «ci si scioglie nel movimento», anzi. Che si assume con umiltà il rapporto, sempre più compromesso, tra cittadini e politici, e si cerca di dare una forma al dibattito e una prospettiva alla discussione. Perché la politica si è ritirata in gruppi sempre più piccoli, elitari, ma non d'élite, come piacerebbe dire anche a Luca (e come Luca scrive nel suo libro). Perché è fondamentale la relazione, oltre alla proposta. La condivisione, oltre al messaggio.

Mi piace discutere di qualità e quantità, insieme, perché a volte, la quantità è qualità, e viceversa, e in politica quasi sempre.

Non mi piacciono invece le battute volgari, i toni spregiudicati, gli eccessi fini a se stessi. E non mi piacciono i luoghi comuni e nemmeno il loro rovesciamento, perché il contrario di un luogo comune è un luogo comune.

Mi piace l'uguaglianza, che per me si traduce anche in concorrenza leale, perché la lealtà è un concetto da recuperare prima di tutti gli altri. Mi piace l'individuo, e mi piace la sua affermazione, quando però le condizioni materiali di partenza consentono all'individuo di esercitare la propria libertà. E il finale non è già scritto. Perché altrimenti ci prendiamo in giro.

Ecco cosa mi piace, e ringrazio Luca per avermelo ricordato. Perché più che il «politicamente corretto» è il «correttamente politico» a essere in discussione, da anni, in Italia.

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