Nel mio intervento in direzione nazionale, ho parlato della piazza arancione di Milano e di Napoli. Una piazza difficile da decifrare con le categorie politiche tradizionali, una piazza che dimostra che il cambiamento viene dagli elettori prima che dalle sigle di partito. Dal desiderio di chiudere questa lunghissima ed estenuante fase politica, per guardare al futuro. Dalla maturità che hanno raggiunto le 'cose', in un'Italia a cui la stagione di Berlusconi e Bossi non ha saputo dare che risposte frammentarie e molto spesso (quasi sempre) del tutto sbagliate.

Una piazza da interpretare guardando alla composizione sociale di questo elettorato, ai ragazzi, soprattutto, che la politica in questo Paese sono vent'anni che non riesce a rappresentare. E, non a caso, anche loro hanno vent'anni, perché i ventenni sono l'unità di misura della nostra politica, e non da ora.

Una piazza che è anche una straordinaria richiesta di politica, di una politica partecipata e di grande senso per ciò che ci attende, e che cerca una guida che a livello nazionale deve emergere con ancora più chiarezza, più precisione, più coraggio.

La sera dell'ultimo giorno di campagna elettorale, a Milano, c'era anche l'arcobaleno. Un arcobaleno doppio, neanche si trattasse dei due cerchi di cui Bersani parlò in un'intervista estiva dal sapore un po' ermetico. Un messaggio di speranza inaspettato, nella campagna più meteorologica di tutti i tempi, con il vento che soffiava e con l'aria che cambiava. 

Ecco, ora il Pd, se vuole essere coerente con il mandato (ricevuto insieme alle altre forze del centrosinistra, sulla base di una spinta civica sulla quale Bersani si è più volte soffermato), deve capire dove va a finire l'arcobaleno.

Quella pentola d'oro della leggenda, in cui si trovano tutti i colori dell'iride che hanno caratterizzato i movimenti che hanno attraversato il Paese in questi mesi. La pentola in cui si trova il progetto di governo e di un'Italia non solo liberata, ma consapevole e concreta. Che la politica deve accompagnare, offrendole una guida sobria ed efficiente.

E allora, in nome della partecipazione e della sua libertà, è il caso di non fare passi indietro sulle primarie. Bersani dice di volerle «mettere in sicurezza», Michele Fina chiosa «perché sono una sicurezza». E si tratta di primarie per il leader ma anche per i parlamentari. 

E poi, in nome di una stagione di una politica rinnovata, rispetto dello Statuto sul limite dei mandati e nettezza sui costi della politica.

In nome di un disegno unitario, ma non banale e nostalgico, un grande lavoro al Sud, che in Calabria (dove si è dimesso il commissario) e in Sicilia, soprattutto, riguardano prima di tutto proprio il Pd.

E in nome di una curiosità che non ci deve abbandonare mai, ci vuole la più straordinaria apertura verso ciò che si muove, perché è passato molto tempo dal «vado, non vado, mi si nota di più…» con cui avevamo salutato il primo popolo colorato, quello Viola. E anche il Movimento 5 Stelle, senza snobismi e senza confusioni di ruolo.

Tutta questa energia (rinnovabile!) servirà ad alimentare il nostro viaggio in Italia. Magari con un pulmino, come quello al centro della querelle tra Moratti e Pisapia. Un pulmino da noleggiare, s'intende, che ci faccia frequentare la provincia, dove si trovano i destini elettorali di questo Paese, nelle zone più remote e abbandonate e là dove sale la strada e dove noi, che siamo un partito forte soprattutto «a livello del mare» e nei grandi centri urbani, facciamo più fatica a prendere voti.

Tutte cose che avevo detto già, alla direzione di gennaio e a quella d'inizio campagna, quando in pochi credevano nel risultato delle Amministrative e quasi nessuno nei referendum che celebreremo tra qualche ora e che fanno parte integrante di questa storia politica.

Il bello di un partito democratico, ho ricordato da ultimo, in nome del pluralismo a cui sono molto affezionato, è che le posizioni della minoranza (della minoranza di una minoranza, nel mio caso) possono diventare le posizioni del partito. Bersani commenta: «possono diventare addirittura maggioranza». Già.

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