Quello che ho scritto oggi, lo trovate molto meglio illustrato qui, grazie anche al bel lavoro di Giovanni Maria Bellu. L'altra sera, con Alfredo Reichlin e Mauro Agostini, ne abbiamo parlato a Città della Pieve, in un dibattito di grande valore, tra le generazioni, con le generazioni (sarebbe bello se qualcuno lo avesse ripreso, tra l'altro, chissà). E mi dispiace poi che qualcuno si offenda se lo diciamo 'noi', che bisogna uscire da questo schema. E che, come dice un nostro manifesto (un po' autobiografico), «la pazienza è finita». La speranza è che se lo dice Reichlin, magari qualcuno lo prende in considerazione. E quando parliamo di compito di una generazione, intendiamo proprio questo:
Una generazione che aveva una visione dell’Italia futura e un bisogno insopprimibile, un’urgenza, di raccontare e migliorare quella presente. Forse «avere un’idea di società» è semplicemente questo.
Ripartiamo da domani e da Firenze. Senza mettere i maledettissimi cognomi sotto un documento, senza costruire vecchissime "giovani correnti", senza chiudere la porta a nessuno. Anzi, invitando tutti a dare il loro contributo. Soprattutto quelli che non 'parlano' e, soprattutto, non sono ascoltati. Cercando, insomma, di dimostrare a tutti che qualcosa di diverso si può immaginare. Personalmente, sarà il mio ultimo tentativo, perché a volte mi viene voglia di rottamarmi da solo, per la soddisfazione di tutti. E di dedicare la mia vita ad altro. Perché c'è dell'altro. Molto altro.

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