Formigoni si beve tutto il decreto Ronchi e scopre l’acqua fresca, da privatizzare. La Lega tace, anche perché le sue scelte – a cominciare dall’abolizione degli Ato, in nome della mitica semplificazione – sono totalmente in linea con le indicazioni di Ronchi e di Formigoni. Non ci sono più le ampolle di una volta, insomma.
Per anni hanno sostenuto che era la Lombardia a fare da modello e a spiegare quello che si doveva fare nel resto del Paese. E dopo il grande dibattito della passata legislatura – in cui cercammo e trovammo una mediazione tra la legge regionale e le proteste referendarie dei sindaci – ci siamo accodati allo schema nazionale. Senza battere ciglio.
I Comuni protestano e hanno ragione. Perché così rimarrà tutto in capo alle Province (quelle da abolire, sì, ciao) e si perderà il necessario riferimento territoriale e la rappresentanza delle comunità locali nella gestione di un servizio così importante e delicato.
L’ingresso forzato di capitale privato, l’obbligo delle gare a prescindere dalle condizioni di partenza e dalla qualità del servizio (in Lombardia molto elevata), è un fatto grave dal punto di vista politico e molto poco federalista dal punto di vista amministrativo.
In Lombardia hanno firmato in tantissimi i tre referendum, ma a Formigoni e Podestà (il nome fa pensare a una spiccata vocazione da federale) questo non interessa. Ronchi dei Legionari, insomma, che obbediscono a Roma. Anche in Lombardia.

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