Barack Obama, Sulla razza, Rizzoli. Il discorso di Obama a Philadelphia dell’8 marzo 2008. Un discorso che mi conferma che il candidato alle presidenziali americane è davvero un candidato ‘globale’ che parla agli Stati Uniti ma anche e contestualmente a tutte le coscienze democratiche del pianeta. Prendete questo brano e riflettete. Sull’integrazione, sulla paura, sulle sfide che abbiamo tutti di fronte. A Wittenberg è ritenuta una tesi decisiva.

«La maggior parte dei lavoratori americani del ceto medio non ritiene di aver goduto di particolari privilegi per il fatto di essere bianca. La loro esperienza è quella tipica dell’immigrato: nessuno ha regalato loro qualcosa, si sono fatti da soli. Hanno lavorato duramente per tutta la vita, molti hanno perso il lavoro poiché le industrie si sono trasferite all’estero e le pensioni sono andate in fumo dopo una vita di fatica. Sono preoccupati per il futuro, sentono di non essere in grado di realizzare i propri sogni; in un’epoca di salari fermi e di concorrenza globale, le opportunità lavorative ed economiche si riducono di continuo, e i sogni di qualcuno si realizzano solo a spese di quelli di qualcun altro (opportunity comes to be seen as a zero sum game, in which your dreams come at my expense). Perciò, quando vengono informati che i loro figli dovranno frequentare una scuola all’altro capo della città, quando apprendono che un afroamericano ha migliori chance di ottenere un buon lavoro o di essere ammesso in una buona università a causa di ingiustizie che loro personalmente non hanno mai commesso, quando si sentono dire che le loro paure sulla criminalità nelle periferie cittadine sono solo frutto di pregiudizi, il loro rancore inevitabilmente cresce».

Obama invita a rivolgersi alle vere cause della rabbia nera e del bianco rancore, e scegliere se aumentare le divisioni e acuire i contrasti o dire «Not this time», non questa volta, e superare insieme le difficoltà determinate da una società profondamente ingiusta, per gli uni e per gli altri. Pensiamoci bene.

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