Spazio ombelicale. Aut. Min. rich. "Mi hanno rimasto solo". Sono qui in Regione ed è talmente tardi (si fa per dire) che non ci sono nemmeno più gli addetti alle pulizie (il venerdì, qui, è all’americana: casual e semi-lavorativo…). Il "giorno dopo" è stato difficile, ma tutto sommato intenso e positivo. E la scelta è quasi ovvia: o cambiare vita, e tornare a fare un lavoro che mi piaceva; oppure ‘crederci’ proprio nel momento della sconfitta e dell’incertezza. Ho ovviamente scelto la seconda, e vi dirò che a questo punto conviene andare fino in fondo. Non è detta l’ultima parola. Anzi, l’ultima parola è quella di Obama: change. Cambiare, per davvero, però, per ridare dignità alla politica italiana. Speriamo che tutti se ne rendano conto, ora che quasi tutto è perduto. E’ l’ultima chiamata anche per noi che la politica la facciamo als Beruf (che pensando a Weber è una bella cosa, ma pensando a Mastella…). E la facciamo con quel senso di inadeguatezza che ci accompagna e che forse ci consiglierà di cambiare vita, per lasciare ad altri l’incombenza. Non ora, però. Ora c’è da giocarci l’ultima partita. Quella per non retrocedere, per non far tornare indietro il Paese di qualche anno (qualche secolo?) e per pensare che nemmeno lo scudetto è impossibile. Perché l’avversario è il solito, lo conosciamo bene e se non ci fossimo fatti autogol a ripetizione sarebbe da tempo fuori dai giochi. In via Filzi, fuori dalla finestra, l’aria è frizzante e la primavera si avvicina. Stavolta in campo dobbiamo scenderci noi. Andiamo. 

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