Per una volta, la proposta di lettura riguarda la filosofia. E l’immagine. E il mito. Si tratta di Ninfe di Giorgio Agamben, Bollati Boringhieri. Delle ninfe tutti sappiamo che sono per loro natura molto particolari, soprattutto grazie al mitico Paracelso. Le ninfe sono come le immagini, proprio perché acquistano un’anima solo se si uniscono con l’uomo. «Le immagini hanno bisogno, per essere veramente vive, che un soggetto, assumendole, si unisca a loro; ma in quest’incontro – come nell’unione con la ninfa-ondina – è insito un rischio mortale». Scrive infatti Paracelso che le ninfe «benché siano entrambe le cose, cioè spirito e uomo, non sono tuttavia né l’una cosa né l’altra. Non possono essere uomini, perché si muovono come spiriti; non possono essere spiriti perché mangiano, bevono e hanno carne e sangue». Essendo entrambe le cose, non sono nessuna delle due: sono «in qualche modo» uomini, ma sono prive di anima (sembra quasi che si parli delle trentenni milanesi: ninfe metropolitane :). Ma non sono nemmeno animali, perché una ninfa «parla e ride proprio come gli uomini» (bellissimo). Precisa allora Agamben che, proprio perché create ad immagine dell’uomo, «ne costituiscono una sorta di ombra o di imago». E, proprio perché «immagine dell’immagine», la ninfa – e qui viene in soccorso Boccaccio – fa segno al processo dell’unione della mente con l’immagine: sempre fluttuante, sempre danzante, come la ninfa. E, allora, ci permettiamo noi un passo in più, che riprendiamo da Roberto Calasso, La follia che viene dalle Ninfe, perché ci parla dell’impossibile possessione delle ninfe: «Ma chi erano, dopo tutto, le Ninfe? A questi esseri dalla vita lunghissima, seppure non eterna, l’umanità deve molto. Attratti da loro, più che dagli umani, gli dèi cominciarono a fare incursioni sulla terra. E prima degli dèi, gli uomini, che imitano gli dèi, riconobbero che il corpo delle Ninfe era il luogo stesso di una conoscenza terribile, perché al tempo stesso salvatrice e funesta: la conoscenza attraverso la possessione. Una conoscenza che dà la chiaroveggenza, ma può anche consegnare chi la pratica a una peculiare follia. Il paradosso della Ninfa è questo: possederla significa essere posseduti. E da una forza soverchiante». Lo aveva compreso perfettamente Giordano Bruno (che anche Agamben cita) nei Furori, descrivendo l’esperienza di Atteone che proprio tra le ninfe incontra Diana. Non dimenticatevelo mai. Può essere molto pericoloso…

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